Sulla natura inconoscibile del Divino

L’intraducibile valore di ogni essente che cade, e nel suo cadere si rivolge alla trasformazione unica e inevitabile del fatto del suo essere natura posta in atto, così manifesta l’Occulto significato del suo esistere. E’ ogni vita trascorsa, lacerata, sedotta, ogni foglia bagnata dal temporale, le acque sulfuree di quelle isole ai poli, il grido del corvo, l’orgasmo di adesso. Se qui mi rivolgo all’altrove, scopro in fondo che all’estremo polo di questo rivolgimento, era il ritorno all’adesso mortale. Nel mortale fatto di stare incarnando l’essenza dall’intraducibile valore, è già tutto ciò che può essere detto. Solo la profondità può operare il separando tra parola e manifestazione, laddove sia stata bandita la sterile dialettica, sia stato perfezionato l’intelletto e trasfuso nell’anima. Il Dio non è altro che Coscienza Eletta, per sua natura imperfettibile perché senza margini che non siano il suo significato. E’ solo nell’uomo che il Nome prende vita nella definizione in fondo inutile quanto necessaria al suo comunicarsi sonoro, e inizia il processo di liquefazione dell’Uno nel molteplice visibile. Se l’inganno è tessuto strettamente tra fascinazioni, vane complessità prive di centratura, e il muoversi della conoscenza può tradursi nell’illusione che l’unica Verità possa e debba essere perciò stabilita nel detto, è solo il Silenzio che trasforma la conoscenza e la inabissa. Inabissare la conoscenza significa lasciare che fluisca senza margini definitori, e la parola in quanto effetto discreto alimenta altri margini illusori. Se vogliamo operare distingui che servono la causa dell’evoluzione dobbiamo ammettere che nella carne, anch’essa senza parola, è il fatto puro del suo essere, e la densificazione di strutture energetiche poste in potenza. Già nella carne e negli estremi disinibitori della carne, il fatto assoluto e l’assoluto essere, manifestano la loro Natura di Verità. E ‘ quindi vero che io sono perché questa carne, questo mantello di sangue ossa e fluidi, è il mio abitacolo necessario al mio pensarmi e pensare. Se quindi distinguere dualisticamente i livelli della manifestazione è un esercizio utile alla comprensione della Natura del Solve, dove l’intelletto abbia disincarnato il pensiero dal suo esserci organico e silenzioso, operando un separando che abbia come scopo l’elevazione, ecco che si cade nell’errore. L’errore di applicare un distinguo basandosi sul presupposto che ci sia una sola legge per tutti i livelli e che una volta compresa, possa essere applicata ad ogni manifestazione. La dualità persegue la manifestazione in un’apparenza che per quanto illusoria, è comunque un attuazione del potere, sia pure nella sua espressione vibrazionale più bassa. Comprendere l’illusione non significa vanificare il fatto taciuto quanto almeno reale che la carne sia carne deducendone che essa è una malia dei sensi. Poiché la carne non è solo una malia dei sensi. La carne è un livello della manifestazione. Essa cioè innegabilmente incarna se stessa e per quanto definibile, non è definita da niente che non sia la sua natura e vibrazione. Comprendere dunque che l’illusione è in fondo credere che nulla esiste, a fronte del fatto che tutto è apparenza, senza comprendere che l’essere appartiene solo a se stesso al di là del suo percepito. Se arriviamo a comprendere che l’essere è indipendentemente da qualunque idea e concetto, e al contempo è un fatto reale incarnato al livello di materia, ci conduce alla questione del paradosso. Compresi quindi che la Verità aveva natura paradossale, poiché solo dove gli opposti estremi del cerchio si incontrano noi ritroviamo quell’Unità inviolata e sacra da cui tutto veniva dedotto e creato in ogni direzione. In fondo la coscienza del Tutto non guarda all’ebete morale dell’uomo, non è interessata a ciò che appare, e può quindi generare tutto e nulla in egual modo, senza cura per l’umana ragione che cerca di spiegarsi con la logica ciò che forse è in suo potere comprendere. Mi fido dunque più dell’uomo che mi spiega il fatto dell’esistere di questo mistero dicendo che su Esso nulla è da dire, poiché tutto potrebbe essere detto altrettanto inutilmente, di chi mi argomenta il molteplice con una complessità che va alla deriva di sé stessa. Quando quindi vado dicendo che sono Uno e molteplice, io dico il Vero ed ammetto il Falso. Io opero allo stesso modo. Poiché il Paradosso nel mondo duale ci restituisce il Vero. Io sono Uno perché nella mia Unità incarno il Potere di Sempre, dove rimasi in essere e ciò che sono, è e sarà, e nel mio trascorrere nel tempo dalla mia Unità si protendono emanazioni, che poi assumono manifestazioni e che nella carne prendono poi una forma circoscritta. Se dicessi che sono carne starei dicendo il vero e il falso, comprendi dunque, e se dicessi che sono Spirito, starei dicendo il vero e il falso. Solo nella mia ammissione di Unicità e molteplicità, oltre i confini che la parola ha stabilito ingannando, io lascio comprendere la mia Natura. Ed io lo so perché lo vivo, lo so perché lo sono, lo so perché da quando esisto io questo percepisco da dentro e nelle profondità. La parola dunque non mi serve a spiegarti cosa Sono, ma mi mostrerei forse meglio se mi mostrassi nella Carne senza parola, così mi vedresti in quanto carne, e mi mostrerei meglio se mi mostrassi nello spirito nel sogno, così mi vedresti in quanto spirito. In nessun caso la mia parola ti restituirà il significato occulto di ciò che manifesto, perché la parola non ha la funzione di fare inabissare la coscienza, e non ne ha il potere. Solo abbandonando i margini illusori delle definizioni e del noto, oltrepassando con una coscienza amplificata i confini dell’appartenza, conoscerai l’inconoscibile.

Nera Luce