Il tempo non esiste

Ieri sera prima di andare a dormire stavo ripensando al tempo e in particolar modo ero alla ricerca di una formulazione linguistica che mi permettesse di mettere in chiaro gli assi della visione charificata cui sono giunta diversi anni. Il fatto che il tempo non esista è prima di tutto per me un tratto emerso dal “vissuto interiore”.

Partiamo da qui

Quando cerco di raccogliere la vibrazione emessa dal tempo, nella misura in cui tutto ciò esiste ha una sua vibrazione, ed essa mi attraversa, e attraversandomi mi informa di sè, non mi raggiunge nulla. È come se il concetto di tempo rimanesse appeso dietro un apparenza inagguantabile, che si rivela spontaneamente dentro il mio vissuto agganciata ad un nulla di riferimento. Non riesco a tracciarne i fondamenti emanativi, a sentirne l’afflato, ad agganciarmi al nucleo primo dell’informazione da cui la sua esistenza sarebbe stata animata. Mi rendo conto che tutto, nel modo in cui si comporta l’essenza stessa del linguaggio dentro l’uso dei verbi, si appella alla natura del tempo. E questo apre l’ulteriore questione legata al linguaggio, ossia quanto il fatto che tutta la nostra configurazione neurale si sia modellata sugli usi linguistici e il fatto che la comunicabilità dei significati, anche i primi proto significati tramessi da infante, poggino su questo. Nonostante ripercorra questa logica ancora una volta quando tento di agganciare il mio vissuto, il “sentire” all’essente tempo, mi raggiunge il nulla. Mi raggiunge il nulla nel senso che “non sento la sua esistenza e non capisco come si possa parlare del suo esistere”. Ripercorro la mia memoria e mi rendo conto che essa è tutta strutturata su categorie temporali, ma quando cerco di collocare questi eventi di cui reco memoria, ed anche gli stessi atavismi della mia stessa esistenza avatarica “assoluta”, riesco solo a sentire un senso di eternità che si disvela in sequenze discrete, in diverse trame strutturali. Come se tutto si sia riavvolto e svolto dentro tale eternità, e sia l’operazione che effettua la mia memoria nel ripercorrerla come oggetto del pensato, ad avere inserito questa categoria al suo interno. Faccio l’esercizio inverso e immagino la possibilità di non avere memoria, di non possedere un apparato neurale che mi permetta di tracciare l’immagine nel ricordo, e comprendo che a quel punto tutto, sarebbe una sincronia di accadimenti sempre uguale a sé stessa nell’attimo stesso del suo apparire, svuotata di senso nel momento stesso in cui superata da un altro accadimento. Il tempo quindi, per me, riferendosi all’esperienza che ne potrebbe fare, se esistesse, una coscienza incarnata incapace di recare memoria di sè e di ogni suoi accadere fenomenico interno ed esterno, esiste come concetto aleatorio. L’imponenza del suo lascito presso una riflessione che non abbia sviscerato dentro se stessa, risiede nel fatto che l’appello a ciò che l’umano crede di essere spesso fa riferimento prefernziale e spesso anche assoluto, alla sua memoria di ciò che è stato, e quindi esce dalla dimensione assoluta del suo concepirsi. Se altrove ho percepito che la mia più alta forma di manifestazione, esiste senza tempo ed è eternamente sé stessa, e si riavvolge lungo il percorso in sequenze diverse, di cui io riesco a recare una memoria metafisica nonostante tutto, questo è perché mi sono risposta “l’informazione resta sempre attaccata alla manifestazione, e non scompare”, poiché “l’informazione della memoria è essa stessa energia, e l’energia non scompare, ma si trasforma”. L’informazione contenuta nella mia memoria, ad esempio l’immagine di un evento, è semplicemente accaduta dentro uno spazio immaginale di riferimento, ma non c’era nessun tempo quando è accaduta.

È possibile pensare che le cose, gli eventi, i nuclei dell’informazione, si trasformino, fuori dal tempo?

A mio avviso si, poiché ciononostante, anche se io stessa uso categorie concettuali che vi si riferiscono, non potendo anche il linguaggio stesso fuoriuscirne, quando tuttavia abbia cercato di “sentire” questo supposto tempo che mi si presentò alla coscienza parallelamente all’accadimento, io non riesco a sentirne l’esistenza. Sento una vibrazione specifica che quell’evento aveva, una sua direzione evolutiva, che poi denomino “lungo il tempo” più per abitudine e necessità implicata nella comunicazione linguistica, ma se ripensassi lo stesso evento in termini assoluti, io dovrei ammettere che esso c’è stato nella mia esistenza, si, ma in unico spazio di riferimento ossia “la mia memoria di esso”. Esso è evoluto fuori dal tempo, e più nello specifico esso è evoluto e basta, perché ha risposto della natura dell’energia, che è vibrazione che emana da sé stessa. È possibile accettare che il tempo non esista comprendendo sotto l’auspicio di una neutralità valutativa che il nostro uso di tale concetto illusorio ci serve per spiegare, per conoscere, per indagare, per ricordare, in quanto esseri linguistici. Come se il tempo fosse una creazione dell’illusione, necessaria alla sopravvivenza della coscienza incarnata, che la coscienza incarnata ha creato nel momento in cui il linguaggio è sorto, e che quindi per l’umanità ciò sia parimenti l’inevitabile propagarsi di un appello recidivo ad esso, per riuscire a fare i conti con la relatività dell’esistenza incarnata, data l’inammissibilità del suo statuto ontologico come “individuo assoluto”. La manifestazione accade quindi, poiché uno dei comportamenti che stanno a fondamento della creazione è la tendenza emanativa, ma tutta la creazione procede senza tempo, e questo perché il tempo non esiste. Non c’è bisogno di riadattare le formulazioni linguistiche a quanto non potrà mai essere descritto, poiché fondamentalmente esso non è mai esistito, e nessun riadattamento avrebbe ancorchè senso esso stesso. Accontentiamoci di questo termine “tempo” e pià non dibattiamo. Rimettiamo l’ascia di guerra che attraversa tutta la storia dell filosofia, e mettiamo un punto chiaro. Da qui ripartiamo per far riconvergere la riflessione chiarifata oltre la questionabilità spuria dell’inattuabile, per superare il problema con uno scacco matto tutto sommatto semplice e puro. Il tempo non esiste e tutto ciò che procede nel senso e nel significato della manifestazione segue leggi che diventano intelleggibili davvero solo quando il concetto di tempo sia stato accettato nella sua aleatorietà.
Tutto accade in un fluire incessante, dentro qualcosa che è una sorta di “vertiginosità del manifesto” ma non corre lungo il tempo: esso corre lungo le trame dell’energia.
Se mettiamo come priorità alla nostra visione quindi, una prospettiva che non sia quella umana, decentrandoci davvero e completamente dalla nostra stessa configurazione rappresentazionale, e cerchiamo di vedere le realtà nella sua“autenticità”, potremmo forse raggiungere questo nuovo modo del conoscere. La creazione non ha bisogno del tempo per essere spiegata, e l’eterno conflitto tra creazionismo ed evoluzionismo deve essere abbandonato. Il fatto che il primo nucleo creante abbia emanato da sé delle logiche, e queste logiche abbiamo creato relazioni tra sè e quindi trame fibrose, stratificatesi in multilivelli aventi natura diversa, non ha in realtà bisogno, per essere comprensibile, della categoria del tempo. Esso esiste e basta in base alle leggi del comportamento dell’energia, e risponde di queste leggi.

Queste leggi che invece esistono, e che infatti riesco a sentire, e questa energia che invece esiste, e da cui ha luogo poi la forma, e che riesco a sentire.

È la nostra memoria e la configurazione neurale d’appoggio al linguaggio che crea questa illusione. Arrivati al piano della manifestazione fisica, il corpo prende la vita nella natura di un mentale cosciente, capace a partire dai tre anni di riflettere su di sé come oggetto, capace di trattenere in un continuum spazio -temporale le sequenze di immagini che sono apparse lungo la sua esistenza storico-biografica. Esse sono però apparse in verità senza continuità quando accaddero, poiché ciò che noi abbiamo in verità visto ogni volta erano immagini in mutamento continuo, che potevano mutare continuamente solo perché nel loro superamento, quella precedente scompariva. Rimaneva la traccia dell’informazione nel nostro sistema e noi la abbiamo agganciata a livello neurale alla nostra memoria. Il che significa anche, dato che tutto è già compresente, che questa traccia è risalita lungo tutti i livelli della manifestazione, lasciando un segno di memoria nell’immaginale archetipico, e talora, quando si trattava di informazioni di grande profondità e potere, ha acceduto anche alla memoria cosmica, o alle tracce energetiche che tessono altri livelli della manifestazione. L’informazione infatti scorre, poiché è fatta anch’essa di energia, e scorre lungo tutte le direzioni, se ammettiamo che tutto sia unito. Così come essa in origine informò il nostro sistema mentale e organico, a sua volta essa reinforma il Sistema della Mente Unica, facendo riconfluire il “feedback” che servirà per riadattare il comportamento evolutivo delle trame, che quindi prenderanno spunto anche da quello per determinare le direzioni di spostamento. Parlando di Sistema di spazi iper temporali ed iper spaziali, ci stiamo forse riferendo alle infinite possibilità evolutive che l’informazione ha, nel momento in cui essa sia messa in connessione multi livello con tutte le stratificazioni nate dalla manifestazione originaria, o primo nucleo dell’informazione totipotenziale. La sua toti potenzialità risiedeva nell’infinità della sua potenzialità creativa, ma il suo sviluppo è mosso da un piano di esistenza multidimensionale, in cui tutto al contempo era e non era, e dove nessun tempo è mai esistito.

La nascita della coscienza riflessiva è stato un parto affascinante, perché ha permesso la nascita del pensabile come oggetto del pensato ed ha quindi reso possibile anche la creazione di concetti come “il tempo” che rispondevano alla necessità di quel modo del pensato stesso.

È una conseguenza corollaria della stessa formulazione del pensato come oggetto, l’idea del tempo. Quindi se esso esiste, esiste nella misura in cui lo possiamo usare per descrivere la nostra esperienza in terra, o per cercare di comprendere la creazione, ed esso serve alla conoscenza come strumento, canale, percorso che dà ordine a ciò che altrimenti sarebbe informe. È come se la mente stessa avesse avuto bisogno di costruirsi l’idea di tempo, come l’idea di “sé materiale”, avendo bisogno di sezionare il continuum della manifestazione in un modo che gli potesse divenire comprensibile. Non sarebbe stato infatti possibile spiegare niente della materia e del suo accadere, senza appellarsi all’idea di tempo, e non sarebbe sorto alcun bisogno di indagarla forse. Saremmo rimasti appesi ad un eterno momento che finisce dove inizia l’altro, senza essere capaci di alcun’evoluzione della coscienza. Quando uso il concetto di tempo, quindi, comprendo che non posso uscirne, ma al contempo io parlo di qualcosa che ritengo che non esista. Tutto accade ed è già accaduto quindi, dico “nel senso che non essendoci un limite all’espressione dell’energia, ogni causa ha già generato tutto da sé, per il fatto di rispondere della legge della vibrazione”.
Ogni causa ha in sé tutto, e per noi che ne facciamo esperienza discreta, essa appare come uno scorrere lungo il tempo, ma in realtà non scorre alcun tempo al modo in cui scorre il fiume, poiché il tempo è una costruzione aleatoria. La manifestazione per esistere non ne ha mai avuto bisogno, poiché non ha in primis mai avuto modo di pensare sé stessa. Il fatto che sia possibile ripercorrere “il tempo” o “le trame dell’energia” dipende dalla questione della tracciabilità della memoria, che sotto il profilo metafisico forse offre molti più riferimenti reali di quello di tempo, a mio avviso, permettendo di smatassare questo annoso non- problema. Spostando quindi la questione su cosa sia la memoria, una volta compreso che il tempo non esiste, vediamo come i conflitti irrisolvibili dentro una data ontologia di riferimento diventano risolvibili e tutto, paradossalmente, diventa più chiaro. Certamente questo non significa che io, nel momento in cui mi renda conto che qualcosa non esiste, come possa essere il “tempo” o il “sé materiale”, riesca a sganciarmi dalla loro formulazione linguistica, poiché tutto il linguaggio è strutturato sulle categorie di essere e tempo, ed è quindi impossibile uscirne a livello linguistico. Ma è comunque possibile uscirne a livello di costruzione rappresentazionale. La nostra mente è formata al modo della manifestazione, ossia per strati e livelli: l’informazione riconfigura la sua struttura e il suo comportamento al livello in cui si manifesta. Alcuni modi della comprensione, aprono l’accesso a moduli di conoscenzache non abbisognano,per emergere, di una traduzione linguistica , avendo avuto prima cura di allenare per anni la mente allo spostamento a volontà lungo tali livelli. Il livello in cui il “tempo” non mi arriva, è quello dove io sono in grado di sentire l’energia, la sua natura, emanazione e vibrazione, quello in cui appare la rivelazione, e lì, in quegli spazi dove ho navigato a lungo, nessun “tempo” mi ha raggiunta o si è fatto sentire. Ragionare su sé la creazione accade tutta nello stesso momento o lungo il tempo, è sempre argomentare in modo temporale. Si tratta di uscire da una lettura della creazione che si appelli al tempo, per concentrarsi su quelli che sono invece elementi esistenti davvero, come la natura dell’energia e le leggi che ne determinano la trasformazione. Possiamo al massimo dire che il tempo è “la memoria del tracciato emanativo che ha portato all’evoluzione e alla trasformazione di qualcosa”. In quanto tale il tempo diventa “memoria” e il concetto non aleatorio di memoria ci permette, considerando l’ampiezza dei significati esperienziali che gli abbiamo agganciato, di ragionare in modo più fluido sul modo in cui la manifestazione si è comportata. Per l’umano il tempo, o “la memoria dei suoi cambiamenti, evoluzioni e trasformazioni”, deve esistere, poiché questo rende l’essere umano capace di evoluzione continua. Senza capacità di pensarsi come oggetti del pensato, memoria e concetto di sé, non è possibile neanche il superamento stesso di questo modo della manifestazione, poiché nulla che non sia stato prima notato, e divenuto consapevole, può essere attivamente trasmutato. Non è possibile alcuna evoluzione senza memoria, e quindi senza appello alla categoria del tempo, anche se il fatto di riconoscere che il tempo non esiste, non rappresenta affatto un ostacolo rispetto al nostro pensare fuori dal suo schema di riferimento. Siamo costituiti per non riuscire a non pensare in termini a-temporali, per virtù di una legge che non è quella del tempo, ma quella dell’energia. Finché vi sarà linguaggio e memoria di sé, ci sarà realmente quasi impossibile non parlare di tempo, dal momento che ogni nostra frase contiene tale concetto implicato nel verbo stesso dentro ogni frase. Esso nasce per chiarire alla memoria, l’ordine in cui gli eventi si sono susseguiti, poiché in questo ordine ci diventa intellegibile la realtà, e possiamo non solo conoscere in un modo nuovo ma anche evolverci per nostra stessa scelta, ed auto superarci. Quando dico che il tempo non esiste, che nella mia visione non esiste, io mi riferisco a questo. E da questo punto fermo che ho stabilito, diversi anni fa or sono, la mia riflessione ha proceduto ampliando altri aspetti trapelati attaverso il chiarimento della stessa riflessione. Non ambisco a definire un’assoluta verità, ma chiarire come questo sia stato per me, fondamentale passaggio per poi comprendere la natura illusoria del reale e da lì stabilire altri punti fermi della riflessione. Fino a che un giorno, ho messo tutto insieme, e mi sono resa conto di come tutto questo in fondo stesse rivelando altrimenti l’enorme potenziale che noi incarniamo in quanto “manifestazione del potere”, e l’enorme potenzialità magico creativa della mente. Nel momento in cui tutti i vincoli siano recisi a livello rappresentazionale, altre formule di conoscenza diventano accessibili, e pur mantenendo al contempo la capacità di comprendere altre logiche, abbiamo accesso a dimensioni della conoscenza del tutto rivelate. Questo comprendere a sua volta, ha determinato nella mia esistenza terrena, nuove possibilità dell’operare e in particolar modo il raffinamento di quell’arte dell’ ”agire senza agire” il cui significato, a partire dal momento in cui ho messo insieme tutti i pezzi, mi è diventato trasparente così come anche i percorsi per la sua applicazione reale. Nel momento in cui sono riuscita fare “ordine” nella mia lettura della realtà, dal momento che per quanto mi riguarda “la realtà”, “il tempo”, “la natura dell’essere”, non si sono presentati alla mia coscienza , fin da molto giovane, con la stessa ovvietà con cui coloro con cui sono venuta in contatto me le ha presentate o come la dimensione materiale stessa ha tentato di illudermi che fossero, l’importanza della riflessione pura su ciò mi è apparsa come urgenza stessa fondamentale per la mia sostenibilità della mia esistenza terrena. Ho in un certo ritenuto, ad un certo punto, che una sorta di “illusione permeante” avesse attecchito nell’umana coscienza, vincolando con l’ordinarietà tutti quegli accessi ad una comprensione autentica e pura del piano di manifestazione che occupiamo. E questo iniziò quando era bambina, a circa 10 anni, quando tra i primi “vissuti interiori” che non mi apparvero affatto ovvi, ci fosse ad esempio “il fatto di stare occupando un solo livello della manifestazione alla volta ed essere il mio corpo”. Non riconobbi altra famiglia che quella disincarnata e non considerai mai la famiglia biologica di qualche importanza, riconoscendo un idea di “famiglia” di ordine puramente spirituale. La vita che riesco a ricordare, appesa al filo illusorio di un tempo mai trascorso, inizia così. Quella prospettiva, quelle idee, quei riconoscimenti, mi abitarono con la naturalezza di un afflato di appartenenza animica. Essa sostenne l’architravce dialogica con cui portai avanti la necessità di un indagine metafisica sulla realtà, poichè via via che andavo chiarendo i punti confusi, anche la differenza sostanziale tra la mia rappresentazione della realtà e del mio essere, aperse un divario abissale tra me e il mondo che mi circondava. Come se provenissimo da terre diverse, modi di pensare e pensarsi diversi, visioni ed angolazioni inconciliabili a livello profondo. Quello che ho scritto qui, o altrove, rimane comunque una sintesi di un patrimonio immondo nato dalla mia riflessione, che solo di recente solo riuscita a ricomporre una visione unitaria. E nel momento in cui ho ricomposto tutti i pezzi della mia riflessione sulla natura del tempo, della realtà, della manifestazione e dell’essere, anche in me è risorta l’unità di visione. Nera Luce