Un apprezzamento a Giuliano Kremmertz- By Nera Luce

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“Non può esistere vero e serio praticante, di ermetismo, di magia trasmutativa, di ascesi pitagorica, esicastica o buddhista, di cultualità arcaica e pagana, che non rifletta limpidamente la virtù costante ed incrollabile della presenza a se stesso. Tutti i barocchismi interpretativi, le più sofisticate interpretazioni filosofiche, le più arcane simbologie, le più secrete prassi di preghiera ermetica o numenica, perdono ogni loro interno e serio significato, ogni valenza reale ed effettività palingenetica, se una cristallina lucidità coscienziale non assuma fissa dimora presso il proprio animo, se un’osservazione costante e vigile non sappia portar Luce sulle proprie Tenebre e sulle dominazioni, emozionali e psichiche, che ognuno, in ogni istante, subisce. Su tale argomento, che è di un’importanza capitale, purtroppo notiamo manifestarci una diffusa e profonda superficialità, segno di una consapevolezza parziale che non intacca in profondità la personalità, ma che ne inebria la lunare ed inconscia fascinazione per l’ignoto ed il vago quanto nebuloso mondo dell’occulto:”Finché sussiste codesto squilibrio nel composto umano, è assai difficile sacralizzare anche il più semplice atto iniziatico: la volontà del praticante è sottoposta alle continue pressioni esterne, l’attenzione è debole e deviata, l’amore per la ricerca e la contemplazione del Sacro sono frammentarie e disorganizzate”[10]. Vi è, quindi, necessità di un COLLEGAMENTO REALE con il Sacro, vi è necessità di un nuovo “battesimo” ricevuto in status di purità mentale, vi è necessità di un atto trasmissorio di una FORZA più forte di tutte le forze, che nel passato è stata prerogativa di Re e Pontefici:”Il cemento originario delle organizzazioni tradizionali: esso spettava anzitutto al Re; era poi prerogativa delle caste aristocratiche e sacerdotali, della magistratura e, infine, dei patres, i capi famiglia”[11]. Non a caso nella tradizione delle famiglie patrizie il riferimento ad avi semidivini o eroici era la manifestazione di una continuità rituale e sacrificale, che manteneva il contatto con il pneuma dell’antenato, che veniva perpetuato dal rispetto rigoroso di norme, gesti e parole: nelle caste superiori, come nella magistratura, ogni variante invalidava il legame dell’evocatore col Numen[12]. Quanto finora analizzato ha messo in evidenza quanto la qualificazione rituale fosse connessa, in maniera indissolubile, sia con una provata continuità iniziatica sia con un percorso sacrificale dell’evocatore, che in esso ripercorra la leggenda di Osiride, smembrato dal fratello rivale Seth, prefigurazione delle quattro operazioni al Nero, e ritrovato e rivivificato da Iside, sposa e sorella “mercuriale”, con la quale ritrova nuovamente la propria virilità trascendente, smarrita col proprio phallus, nelle nozze chimiche, nella ricomposizione del Rebis primordiale. Tale divinità che l’enigmatica Tavola di Rubino definisce non a caso un Dio nero[13], ci palesa la necessità per il myste di una ricapitolarizzazione dei suoi piani microcosmici (VITRIOL), di una visione terribile che apre la Via per la risalita, Seth essendo nella sua versione di demone oscuro:”Il Sole, chiara face del polo, non penetra i corpi densi, al cui opposto permane l’ombra: la più vile tra tutte le cose. E’ pur tuttavia di grande utilità agli astronomi: ma il Sole con l’ombra sua maggior dono ai Saggi offre, giacchè compie l’opera dell’Arte Aurifera”[14]. Altro aspetto del sacrificio è la sua totale spersonalizzazione: al contrario di quanto cercano i moderni fattucchieri, nell’atto magico nulla si cerca per se stessi, dovendo essere “nullo” il frutto dell’azione. Non casuale, infatti, è la richiamata figura dell’Eroe, il quale ci conduce verso il culto sacrale ed impersonale della Mors Triumphalis:”…compi ogni azione liberandoti dai legami, equanime nel successo e nell’insuccesso…” (Baghavad-gità). La via indicata, pertanto, è per sua stessa natura, come già evidenziato, aristocratica, elitaria, iniziatica, riservata a soli Hestos, coloro che sono in piedi, che richiedeva e richiede una precisa qualificazione spirituale, la quale segna l’abissale differenza tra un’idea del rito rettamente tradizionale ed un’idea contraffatta di esso, sacrilega, frutto della volgarizzazione neospiritualista e di un’inversione controiniziatica. Le parole di Julius Evola ci aiuteranno a qualificare tale dicotomia, iniziando una vera e propria analisi di ciò che devesi intendere per azione sacrilega:”Alterando una legge, un sigillo di dominio sovrannaturale è sciolto, forze oscure, ambigue, temibili ritornano allo stato libero..Il rito o il sacrificio tralasciato, compiuto da persona non qualificata o eseguito in modo comunque difforme dalle regole tradizionali, era principio di sventura: esso rimetteva allo stato libero forze temibili sia nell’ordine morale che in quello materiale, sia per gli individui, sia per la collettività. Trasformava gli dei in nemici”[15]. La leggenda di Osiride, a cui abbiamo fatto riferimento, esprime la Forza Universale, la Potenza-Shakti, che è fonte di pericolo e di morte(gli Dèi Mani), che solo un eroe qualificato può affrontare e soggiogare: chi la sublima e la fissa con il Rito, ripercorre le avventure di Ercole che “conquista” l’im­mortalità olimpica, che realizza la Verità, la Realtà (Rtà=ritus=rito), la Vittoria. Chi non è qualificato, chi non ha le norme della continuità commette l’errore (non il peccato!) di affrontare (la Forza) fuori dal Rito, viene travolto da ciò che per lui può essere solo caotico ed oscuro, proprio perché non ha suggellato ed invertito verso l’Alto la Forza medesima: vi è, infatti, sempre un Guardiano della Soglia che determina il vero “desiderio” da quello intriso da mera curiosità, esso si presenta nell’attimo in cui si vuole lacerare il velo della verità. Da quanto emerso, reputiamo che la dicotomia tra sacrificio e sacrilegio sia palese, come egualmente palese sia lo stato di degenerescenza dello spiritualismo contemporaneo. Quanti dei moderni maghi, delle tante streghe, dei tanti auguri, hanno realizzato l’identità tra rito (che nella maggioranza dei casi è totalmente inventato) e sacrificio? Quanti hanno percorso un’ascesi purificatrice prima di accostarsi ad una evocazione, ad una parola di potenza, ad un mantra? Quanti posseggono il diritto aristocratico ad accedere al contatto con la Forza del Sacro? La risposta è semplice: Pochissimi! I risultati, d’altronde, sono ben visibili: sono ben visibili le turbe psichiche, i tormenti inconsci, le fobie per un’analisi introspettiva di chi commette sacrilegium, nelle mani viscide di una controiniziazione che accresce il suo diabolico potere proprio sfruttando tali deficienze:”Il momento del sacrificio fu spesso considerato come un momento solenne e pauroso, e quelle forze che se ne liberano e che non sono dominate e fanno irruzione nel mondo degli uomini attraverso la via a loro aperta, sono potenze demoniache d’insidia e di maledizione”[16]. Le vane glorie dei moderni ci fanno tornare alla mente la pretesa, condannata da Dante, ad atteggiarsi ad Eroe, ai tempi dei Comuni e delle fazioni, di “ogni villan che parteggiando viene”. Facciamo riferimento non solo alla New Age, ma a tutta la corrente moderna che ha la pretesa di interessarsi di esoterismo (che vuol dire “il profondo delle cose” dal greco esos = profondo), nella quale non assistiamo ad altro che ad una nuova forma di buonismo moderno, di accelerazione del piano delle acque, di scatenamento di confusa emotività. Sarebbe sufficiente accennare qui alla confusione che si opera sulla Via univoca maschile-femminile, una nuova forma di parità dei sessi anche in campo esoterico, o allo spirito della divulgazione “urbi et orbi”. E’ come voler gettare due cc. di alcool in una vasca di centinaia di litri d’acqua. Potreste affermare, in tale circostanza, che quella vasca contenga veramente l’alcool? Quell’alcool mantiene tutta la sua “potenza” solo quando rimane racchiusa nella sua fialetta. Divulgare ciò che è e deve rimanere intimamente custodito nella “secretissima camera dello core” per dirla con Dante, può dare come risultato solo inutili illusioni. Il nostro, infatti, è solo un richiamo verso uno status meditativo, verso una disciplina da attuarsi per coloro che ne sentiranno forte il richiamo. Pertanto ciò che appare difficile comprendere e quindi interiorizzare oggi è, come dimostrato, il concetto di Sacro e questo è dovuto proprio alla mancanza di una serie di “atti” e di “gesti” di tipo rituale, di tipo sacrificale. Sappiamo guardarci nello specchio benissimo, anzi, qualcuno di noi, lo fa anche più volte al giorno, dipende dal tasso di narcisismo presente, eppure nessuno, se non pochi, sanno vedere oltre la propria immagine. Ed è proprio nel saper guardare “oltre” che si ravvede, anche meccanicamente, ciò che in noi “vibra” con evidente preponderanza. Intimamente “conosciamo” bene i nostri impulsi interiori che determinano infine la nostra specificità. Avvertire in sé le valenze dell’Eroe, inteso in senso arcaico, o quelle del mistico o quelle dell’avventuroso fa parte di un “sentire” profondo.”