Quando la scelta dell’operatore magico per un rituale condiviso si rivela una catastrofe

                 Storie di straordinaria follia

Quando la scelta dell'operatore magico per un rituale condiviso si rivela una catastrofe

 

Un testo meta narrativo  a carattere autobiografico di Nera Luce

 

Siamo nel 2017, due anni fa or sono.

L’eterno candore degli eternamente assenti e ciò che il deliquio non consapevole ricrea dalle sue propaggini corrosive.

 

Il mentore fu l’invisibile afflato che mosse tutta la costellazione degli eventi ed il suo parto definitivo fu il lascito sospeso dell’incomunicabile.

 

Sotto questo auspicio, quasi come se una sinfonia ancestrale avesse mosso dagli inferi una nota stridente ed assordante, si sono mossi tutti gli eventi che hanno riguardato questo incontro. Incontro con nessuno, alla fine di ogni illusione della forma, poiché ciò che rimase oltre la memoria di più rilevante fu una nuova formula di chiarezza riguardante la magia sessuale.

Cosa cioè non sia e non possa mai essere, l’infinita varietà di forme illusorie che può assumere, il potere di attrazione che esso esercita su chiunque si sia occupato di esoterismo, e tutte le problematiche che scaturiscono quando la ricerca della condivisione fallisce inesorabilmente e cade nel vuoto.

Tutte le problematiche connesse al potere che l’apparenza ha di veicolare elementi da cui scaturiscano forme di aspettativa ,per poi scoprire che tale aspettativa aveva generato a sua volta da se stessa un immagine distorta dell’altro, profondamente inguaribile perché solo di natura immaginata. Mi resi conto infatti ad un certo punto di come un importante guado tra le  aspettative reciproche, amplificato ulteriormente dall’incomunicabilità legata ad usi profondamente diversi del linguaggio, fosse andata sovrastrutturando poi scelte basata sull’erronea proiezione di tale attese, puntualmente disattese. E questo era solo uno dei problemi che emergevano poi nell’ambito della messa in pratica rituale, forse quello più visibile, sotto cui distanze cosmiche legate all’ontologia di riferimento, all’impostazione di fondo, ai significati assegnati alla magia, alla profondità di vissuti, agli obbiettivi ricercati, alla formazione e all’esperienza, alimentavano la creazione di una distanza che era prima di tutto un costitutente interiore.

L’inganno originario era stato il desumere dal fatto di essere accomunati da una stessa passione, quella per il sangue, di poter per questo sviluppare una comunione rituale di grande potere. Ma poiché questa passione, richiamo, era atavica per entrambi, essa all’inizio sostenne per causa stessa di sé stessa tutto l’orizzonte progettuale che avevamo in mente. Iniziai ad interrogarmi sulle differenze ed iniziai a vederle emergere, come un intera città sommersa che spunta dalle profondità di un lago cristallino, quando quasi qualunque tentativo di pratica rituale, a partire dalla più semplice meditazione insieme, deludeva realmente ogni possibilità di efficacia e si rivelava come sintomo di differenze profonde che impedivano la condivisione. Queste differenze nel loro rivelarsi spinsero me a spostare l’asse della ricerca progettuale verso formule sempre più basiche, eliminando dal progetto progressivamente tutte quelle strutture rituali che evidentemente non sarebbero state attualizzabili, e spinsero lui a mettere in atto tutta una serie di comportamenti che andassero a compensare tale distanza, come se egli avesse intravisto una possibilità reale di portarla a risoluzione. In tale vano tentativo, io divenni una sorta di rarità cui appoggiarsi per finalmente trarre respiro, per realizzare tutto ciò che non era stato possibile realizzare fino ad allora, colei che avrebbe estinto la fame di sangue e quindi estinto la sofferenza.

Avvertivo questo avermi gettato addosso questo eccesso idealizzato di aspettattive non come un peso, ma piuttosto come una deriva maniacale di un emotività fuori controllo, ma non pensai che questo elemento avrebbe potuto poi introdursi nella pratica rituale in modo così dannoso. Semplicemente avendo io ritirato la dimensione emotigena dalla pratica magica, riuscivo a fare questa operazione di separazione tra i livelli, e non avevo dato abbastanza peso ai problemi che la non condivisione di una tale prospettiva e capacità avrebbe generato. I mesi mostrarono il volto di una persona che operava parzialmente fuori dalla sua consapevolezza,  spinta come una barca a vela nel mare in tempesta dai venti delle emozioni,  che riteneva queste emozioni il veicolo privilegiato della creazione e della magia.

Tale mancanza in me da parte sua fu interpretata come “blocco”, senza che la questione fosse ulteriormente approfondita. Un  classico stereotipo della psicologia spicciola. Il blocco emotivo così definito, che io spiegai essere invece qualcosa appartenenente ad un ordine di visione ben diverso e che ha richiesto da parte mia tutta una vita di lavoro interiore di raffinamento, era avvertito comunque, e qualunque cosa dicessi, come un ostacolo. Da parte mia leggevo come un ostacolo alla pratica della magia sessuale, e della magia rituale pià ampiamente, proprio quella emotività fuori controllo.

Il divario rimaneva colmato dalla visione del sangue, che da solo come un atavismo ricopriva le falle e ci riportava sempre alla sua ricerca, in modo animale, demoniaco. Sostenne come un architrave tutta una costruzione che stava cadendo a pezzi, lentamente, a partire dalle fondamenta, e quando non ci fu neanche più quello infatti, tutto crollò rovinosamente mostrandosi per quello che era sempre stato. Ebbi l’impressione che la ricerca del rituale di magia sessuale per lui  più che servire una causa di potere, più che rispondere ad una vocazione profonda, avesse subito la stessa distorsione che subivano anche le dinamiche relazionali. Sovrascritte in termini di una maniacalità emotiva, diventavano qualcos’altro da quello che erano, idoli, magnificati, idealizzati, che poi inevitabilmente nell’incontro con la realtà mostravano il loro volto non sensazionale, e la delusione rovente che ne derivava spingeva poi a negarne specularmente lo stesso valore assegnatogli in fase entusiasta. Le propaggini corrosive dell’aspettativa si vincono facendo chiarezza, esitando ai guadi per il tempo necessario, non lasciando prevalere l’emozione ma dominandola, stando centrati e lucidi.

Il “blocco” che mi hanno assegnato tutte le persone, a pensarci a posteriori, con questa propensione all’iperemotività fuori controllo, generò poi una serie di atteggiamenti conseguenti volti a scardinare, in modi scarsamente intellegibili e direbbe Bertiaux “ aventi natura femminile”, tutti gli anelli portanti della fortezza dove mi erigevo da Imperatrice. Ma non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di uscire da questa bellissima fortificazione e darci alle danze travestiti da pagliacci, nonostante ci abbiano provato in molti.  Il tentativo molto umano detto altrimenti di richiamare ciò che sono ad un ordine di vissuti che per me erano chiaramente di ordine gerarchico inferiore oltre che molto umani non riuscì mai, sia perché era stato messo in atto maldestramente, caoticamente, e impiegando mezzi oscillatori e instabili, sia perché lo avevo visto muoversi, strisciare, sputare veleno, affannarsi, gridare in silenzio, travestirsi.

 

 Lo avevo Visto e Vedere è un grande potere e una grande responsabilità.

 

Ottenne il sicuro risultato di portare al degrado tutto ciò che restava o in alternativa, che non era mai esistito. E queste dinamiche sono le stesse che quella notte, nell’ultimo rituale con il sangue che facemmo, sovraalimentate dalla componente energetica che quel sangue attivò in lui, divennero finalmente intelleggibili.

 

Avanti a me, sopra di me, era nessuno:  sperimentai un sentimento di vuoto assoluto, una noia ancestrale senza volto e compresi che tutto ciò non aveva alcun senso in alcun mondo. Caduto il sangue, tutto tornò come sarebbe sempre dovuto essere.

 

Semplicemente, la magia sessuale non è una pagliacciata che qualunque curioso può tentare di portare avanti, e le aspettative generano mostri a 8 braccia in ogni direzione. L’emozione è un retaggio umano, e non una qualità del non umano. L’emozione non essendo una qualità del non umano non permette l’accesso a quei livelli di profondità atmosferica o a quelle dimensioni vibrazionali della coscienza non umana, che permettono la connessione autentica con piani di esistenza più sottili. Non si tratta quindi di squalificare l’emozione come mezzo tramite cui la capacità empatica dell’essere umano massimizza la sua espressione, ma di riferirsi ad essa nella sua struttura per comprenderne i limiti nell’ambito delle possibilità che quindi offrendo, anche va togliendo. Se è vero che con la mia emozione posso fare tanto per comprendere il brivido della gioia di una conquista, o la sofferenza di un lutto, è anche vero che questo non rende affatto più vicini al modo in cui si comportano alcune nature di coscienze disincarnate. Ciò che ci dà altrimenti su un piano, ci toglie da un altro. Quindi per “sentire” alcuni piani della manifestazione e stabilire una simbiosi con essi, bisogna andare a lavorare su quelle istanze, di cui le prime a creare interferenza e le cui interferenze sono più imponenti, sono le emozioni. La comprensione può restituirci quell’ampiezza posseduta dalle istanze su cui riflettiamo, come potrebbe essere quella qui menzionata, e condurci poi a cessare di voler legiferare su ciò che non conosciamo prima di averlo davvero conosciuto. Per la natura sorta in me, e come ho quindi operato comprendendone l’origine, l’emozione umana è stata un elemento di grande disarmonia su cui ho operato per avere dominio. Ho avvertito questa urgenza sopra molte altre operandomi spietatezza. E nonostante io sia andata spiegando, a lui ma anche ad altri, questo percorso e le cause profondamente rivelate che lo hanno guidato la critica non fondata è comunque  arrivata.  La questione del “blocco emotivo” e della “eccessiva analiticità” ritorna ai quattro venti dagli stessi portavoce di quei valori umani e così meravigliosamente umani, che cercavano di evolversi verso il non umano impiegando le qualità specificamente umane.

Il loro ultimo soliloquio, soluzione finale per ritrarsi da quella sensazione di terreno in disfacimento, cui cercano di riparare così, sviluppando un dialogo ad alta voce che alimenta ulteriore incomunicabilità.

Per la legge di simpateticità noi siamo in grado di condividere realmente qualcosa con qualcosa o qualcuno, se la natura dei vissuti che ci accomuna non è collocata allo stesso livello e strutturata in modo simile. Possiamo connetterci a strutture vibrazionali da cui estrarre successivamente informazioni solo sintonizzanoci integralmente su quella frequenza. Questo ci è noto da molti testi della magia, soprattutto quelli di goetia. Invocare qualcosa ha successo se nel modo stesso in cui tale invocazione accade sono le strutture vibrazionali adatte a richiamare, per affinità energetica, quella data conformazione energetica. Comprendo davvero l’animale quando divengo animale, l’umano quando divengo umano e il demone quando divengo demone. E’ una questione che si colloca più a livello di natura della coscienza che opera, che a livello di apparenza. Posso quindi spiegare ora perché diversi livelli di informazione hanno transustato dentro la stessa pratica magica rituale in questione, che quindi non era affatto condivisa, portando a esiti del tutto diversi a parità di contesto e azioni, nei due operatori. Si dà come fatto infatti che il divario di abilità, esperienza, dominio e presenza, non solo fossero tali da impedire qualunque condivisione, ma anche da far si che piani realizzativi di ordine compleamente diverso andassero incarnando dentro gli operatori individualmente formule vibrazionali del tutto diverse.

L’idea di quel rituale venne da me e andava inserendosi all’interno di un più ampio disegno che mi era stato mostrato nelle sue diverse fasi dagli spiriti Loa, il cui culmine si sarebbe dovuto realizzare durante un ritiro di 3 giorni in una baita isolata in montagna, da dedicare interamente alla meditazione, alla preparazione delle condizioni vibrazionali per il rituale finale, parallelamente ad una serie di pratiche aventi lo scopo di stabilire e rafforzare un dato regime vibrazionale condiviso all’interno di una specifica corrente energetica dalla natura demoniaco-primordiale.

Come spiego anche nel testo “La manifestazione di Ojas” le diverse fasi di tale operazione mi erano state trasmesse in numerose Visioni e Comunicazioni la cui accessibilità, in quel periodo, era intensificata dall’alterazione dello stato di coscienza indotto da Ojas.

Scelsi di non comunicare all’altro operatore il dettaglio dello svolgimento di alcune fasi dell’opera dopo essermi resa conto, fin dai  nostri primi incontri conoscitivi di tipo rituale, di alcune tendenze piuttosto dispersive, un eccessiva compulsività sessuale  e la tendenza a voler stravolgere le scelte operative su cui ci eravamo precedentemente accordati nel corso dell’opera e in direzioni del tutto casuali.

Diversi furono infatti i progetti che non furono mai portati a termine perché puntualmente qualche distrattore, fosse esso di ordine emotivo o fosse esso il ronzio di una mosca, o fosse un improvvisa  idea creativa che risvegliava un esplosione maniacale di iperattività ed entusiasmo, veniva ad introdursi nel corso dell’opera deviando il tutto verso un caos informe.

Questi primi episodi mi spinsero verso la scelta di non comunicare più  nessun dettaglio della ritualistica che intendevo mettere in pratica, sia perché mi resi conto che lui non era assolutamente in grado di rimanere fedele ad un idea prestabilità mancando della stabilità minima necessaria,  sia perché volevo prima osservarlo allo stato selvatico, valutando cosa sarebbe stato in grado di fare e cosa no. Gli diedi solo alcune informazioni piuttosto vaghe, intenzionalmente, e lo lasciai tutto sommatto molto libero di operare del caos informe dentro il progetto, realizzando parallelamente a questo un osservazione analitica molto attenta di ogni episodio rituale e del suo comportamento.

Paradossalmente ciò che lui mi andava chiedendo era un progetto con tempi stabiliti, date specifiche che avremmo dovuto scrivere in partenza su un quaderno, con rituali specifici da farsi in ogni data e in quell’ordine.

La sua maniacalità si spingeva fino al punto di voler realizzare entro tale ordine imprescindibile, che mi appariva come irrealistico, qualcosa che io sapevo lui stesso avrebbe stravolto dalle fondamenta perché incapace di seguire un ordine e un rigore. Lo lasciavo fare tutte le sue tabelle alla ricerca della salvezza, avendo chiaro che era solo una perdita di tempo e consapevole che non saremmo riusciti a seguire quasi niente di quel registro di eventi.

Ne ero certa perché lo avevo osservato abbastanza da capire che non ne era in grado, e che il motivo per cui aveva bisogno di farlo era che in questo modo egli andava costruendo un immagine di sé completamente diversa da quella reale, dietro cui si nascondeva.

Ed era talmente sicuro delle sue capacità inesistenti da aver costruito un mondo di rappresentazioni fittizio con cui riusciva a rendere credibile questa immagine anche agli altri, per lo meno al primo impatto conoscitivo. Fuori di sé questa sicurezza di riuscire, questa cieca fede negli strumenti che si era costruito, appariva quindi perché, il fallimento dei processi di negoziazione interna avevano visto la vittoria di meccanismi compensatori proiettivi così efficenti, da essere inintellegibili anche a lui stesso che li aveva creati.

Il passare delle settimane mostrarono il volto del caos avanzante, e parallelamente a questo caos che avanzava io andavo ritirando progressivamente il mio investimento fino al punto in cui rinunciai del tutto a stabilire qualcosa prima, anche la più elementare. Ciò che stavo cercando infatti con quella collaborazione magica, era autentica condivisione, ma ero anche consapevole che essendo io una persona fortemente competitiva quando sfidata, quando intralciata, l’unico modo in cui avremmo evitato una guerra in campo aperto, era lasciare del tutto la presa. Fu ciò che feci nel decidere di lasciarlo libero di introdurre le sue scelte nel progetto, ritenni che questo atteggiamento ci avrebbe portato a collaborare davvero, a realizzare scelte comuni in armonia. Questo era anche l’unico modo in cui potevo coniugare il fatto che per me la magia fosse una scienza sacra da prendere massimamente sul serio, e il fatto che la sua serietà magica non esistesse o fosse solo una sua convinzione.

Lasciarlo giocare a fare il mago ritraendo lo spessore del mio investimento, e vedere se qualcosa di valido prima o poi fosse emerso.

Ma paradossalmente questo mio tentativo di adeguamento al suo modo di operare, che avevo messo in atto per onorare il sacro, non lo soddisfaceva. Se il modo che scelsi per permettere la sopravvivenza di tutte le istanze che erano coinvolte dentro un progetto di tale imponenza, può sembrare perverso, se come molti avrebbero fatto molto più semplicemente e linearmente, abbandonando tutto alle prime crepe importanti, ebbene considerate quanto segue. Avevo assegnato davvero grande importanza a questa possibilità che attraverso di lui mi veniva mostrata come potenzialmente realizzabile, e il fatto che una frequenza energetica come Ojas si fosse resa manifesta per sostenere il processo aveva alimentato la mia perseveranza in tal senso. Di fronte a una tale manifestazione ho fermato tutto, posticipato la data di laurea, investito la mia attenzione in quella direzione. Fino al momento dell’avvento di Salom in fondo, molti elementi erano apparsi si, costellazioni variabili il cui peso specifico aveva ancora da chiarirsi del tutto. In fondo e fino alla fine, mi impegnai perché quella visione del rito nella baita prendesse forma nella materia.

Era la Causa, come spesso dissi anche a lui, e non lui, ciò per cui rimanevo.

E fino alla fine ho cercato di trovare soluzioni che risolvessero gli attriti che inevitabilmente, date le nostri forti personalità, sarebbero apparsi se io mi fossi imposta, anche se ai fini dell’efficacia magica di tutto il progetto, oggi ritengo che sarebbe stata la soluzione migliore.

Il fatto che io non comunicassi più cosa volevo fare, niente di niente, alimentava in lui un enorme disturbo, e affamato di mie indicazioni andava spesso cercando risposte presso di me durante le nostre lunghissime e infinite conversazioni. Tuttavia, nonostante io qua e là avessi intravisto un suo momento di stabilità tale che le mie comunicazioni sarebbero rimaste come una solida traccia nella sua mente, e avessi detto qualcosa di più specifico su come intendevo operare, puntualmente il mio intendimento o veniva frainteso o deviato in modi molto creativi. E quel giorno, alla Maison Rouge, l’idea della colata di sangue era stata infatti adattata a queste esigenze che, nella mia volontà comunque presente di portare avanti questa collaborazione e impegnarmi per trovare soluzioni adattive, originariamente era stata vista in tutt’altro  modo.

L’irrealizzabilità della visione originaria si era palesata molto chiaramente quando ne discutemmo la prima volta, e l’intrusione incessante di elementi entusiasti creativi ed artistici dentro il progetto rendeva impossibile portare avanti in modo compatto un idea comune. Le aspettative furono progressivamente ritirate insieme con l’impegno a comunicare i problemi che sorgevano, poiché la sua reazione alle critiche sul suo operato erano particolarmente ostili, mosse da volontà di distruggermi, e lo spingevano ad assumere comportamenti ancora più maniacali.

Quella sera come in tutti gli altri episodi, lui spinse la mia idea alla deriva perché sospinto dai venti in tempesta delle sue emozioni, e quello che sarebbe dovuto essere un rituale di sessualità necromantica, divenne nella sua mente un occasione per creare un bellissimo video da mettere in rete. Quel giorno, era in arrivo un temporale. Mi ero impegnata molto per trovare quel sangue di animale, sia perché era illegale venderlo, sia perché non avevo alcun contatto cui chiedere. Furono i Loa a mostrarmi dove andare, chi contattare e come operare. Tutto procedette in modo lineare per quanto mi riguardò, poiché trovai il sangue esattamente al modo in cui mi era stato mostrato e lo portai alla Maison Rouge esattamente la sera in cui io e lui avremmo dovuto incontrarci per portare avanti le nostre sessioni di meditazione condivisa. In realtà, io avrei preferito attendere di avere un altro contesto, fosse anche solo per il fatto che data la quantità di sangue che volevo usare, non vedevo adatto il luogo di un appartamento. Tuttavia, avevo intenzione di realizzare la colata di sangue in un luogo adatto, all’aperto, e dopo una preparazione di una certa importanza tramite tecniche di meditazione. Quando lo vide, esplose in lui un entusiasmo adolescenziale. Ero una cosa eccezionale che lo avessi trovato mi disse. Lo apersi per annusarlo dato che era la prima volta che usavo sangue animale e l’odore emanato era fortissimo, primordiale, quasi insopportabile. La cosa non avrebbe rappresentato un problema di certo per me, poiché da altre mie precedenti esperienze qui non menzionabili, avevo già lavorato su questo aspetto specifico dell’emozione suscitata da odori e sostanze che nell’ordinario collettivo suscitano disgusto. Sapevo quindi che sarei stata perfettamente in grado di operare un separando tra sensazione olfattiva e emozione, con la volontà. L’idea che mi ero fatta dai suoi racconti era che avesse già avuto molteplici esperienze, forse anche più di me, di contatto con sangue di diversa derivazione e non pensai che in quel caso, almeno in quel caso, ci sarebbero stati problemi. Il sangue era quello che ci accomunava più profondamente, il motivo per cui eravamo lì. Lo annusò e fece una faccia disgustata, orripilata, iniziando una polemica sul fatto che fosse “marcio” , polemica da cui non  ci saremmo mai più liberati e che si sarebbe poi estesa ossessivamente fino ad includere me, colei che pratica una sessualità “marcia e deviata” come poi più avanti mi enunciò per chiarire quali erano state a suo avviso le nostre grandi differenze di impostazione.

Ma ad ogni modo la sua incorenza e instabilità aveva anche questo grande vantaggio, ossia che se poco prima aveva criticato quel sangue perché era “marcio”, e se dopo averlo annusato il disturbo che questo odore alimentò nella sua sfera emotiva si riversò quindi anche sulla rappresentazione che aveva di me, ciononostante non volle tirarsi indietro, e tornò presto entusiasta.

Non volendo essere da meno alla situazione, da meno di me, e volendo dimostrarmi che lui era una persona estrema che prova tutto, iniziò tutta una serie di preamboli inutili, tra cui ricoprirsi di argilla, che portava avanti saltando da una parte all’altra della casa e facendo dei versi. L’idea era fantastica e sarebbe venuto fuori un video pazzesco: questa era la sua prospettiva.

Nella mia, il sangue serviva per veicolare il sentimento di orrore che aveva animato l’animale durante l’esperienza della sua morte, così da attivare dentro le correnti animiche di entrambe la vibrazione specifica di quell’evento, per poi compiere un atto di magia sessuale in cui potesse realizzarsi la perfetta amalgama delle due polarità del continuum dell’energia sessuale, ossia eros e thanatos. Questo avrebbe permesso dunque di accedere a quella frequenza non più duale di tale energia che, immessa all’interna di uno stato alteranto di coscienza, avrebbe spalancato una nuova consapevolezza unificata dell’essere.

Tutto procedette in fondo bene fino al momento in cui la colata fu realizzata sul suo corpo. Mentre lui si preoccupava di entrare in scena al meglio possibile io meditavo. Non condividevo l’idea di fare un video di quel rituale ma come ho già scritto, avevo anche scelto di lasciargli un certo spazio di manovra. Il sangue era freddo, il suo odore era qualcosa di veramente intenso, primordiale, intrusivo. Quando colai sul suo corpo questo liquido lui da una parte non riuscì a dominare il fastidio della sensazione del freddo, cui rispose con dei versi, dall’altra iniziò a emanare nervosismo. Almeno in quella fase, concessogli il video come si farebbe ad un ragazzino capriccioso,  era previsto che stessimo fermi immobili per almeno mezz’ora se non di più, ricoperti di sangue, immersi in una pozza di sangue e impregnati di quell’odore. Meditando insieme in quella fase di preparazione avremmo quindi introiettato quella specifica conformazione vibrazionale per poi passare allo spostamento del focus attenzionale al polo opposto dell’eros, permettendo un amalgama primordiale delle due correnti. Dato che io ero profondamente concentrata su quella vibrazione ed effettivamente quel sangue aveva una potenza enorme, in pochi minuti riuscii a penetrare con la seconda attenzione tutta una serie di visioni che così mi apparvero. Tra queste anche quella della morte dell’animale insieme con tutti i suoi vissuti. Osservai con distacco ciò che stava emergendo, e mi immersi ad un livello ancora più profondo della meditazione quando lui, all’improvviso, mosso da un feroce disturbo che lo animava, manifestò la volontà di andarsi a fare una doccia. Una cosa che non era certamente nuova, il filo di vento inatteso, il rumore di una mosca, o come in questo caso, il sentirsi a disagio, sporco, irritato e disgustato da tutto il contesto. Non  disse di questo disturbo perché non poteva essere da meno di me, ed era orgoglioso, ma era chiaro, lampante. Io rimasi a meditare da sola sfruttando il potere che aveva quel sangue di introdurre quella data vibrazione dentro il mio esserci e lo attesi. Lo attesi sporca, felicemente sporca, primordiale. Quel sangue che mi si era seccato addosso mi faceva come una pellicola rossiccia sul corpo, e come mi faceva sentire, ossia animale e demoniaca, mi piaceva.

Quando lui quindi terminò quella che fu una doccia lunga almeno trenta minuti, io avevo smesso di meditare e dato che non usciva più dal bagno, mi misi a pulire le pozze di sangue da terra. Arrivò dunque profumato e lavato, finalmente libero da quel sangue “marcio” e notò che io stavo continuando a fare tutto piena di sangue, come se niente fosse. Mi avvicinai a lui così, sporca e che odoravo ancora di quel sangue, ma lui parve infastidito dal fatto che fossi in quelle condizioni e mi chiese se avevo intenzione di farmi una doccia o no. La cosa più affascinante del suo modo di relazionarsi al disagio, e tanto più tale disagio era profondo, era il dominare di meccanismi difensivi volti a negarne l’esistenza, o a proiettarne la forma energetica fuori da sé. Così, in quel contesto, egli non ammise mai tutto ciò che accadde prima di tutto a sé stesso. E anche se se ne fosse reso conto, comunque non me lo avrebbe detto, poiché amava negarmi proprio tutta quella parte di comunicazione da cui avrei capito con chi avevo davvero a che fare e cosa non sarebbe mai stato capace di portare avanti. Argimentava la possibilità della mia comprensione con omissioni funzionali, per lo più criticando e polemizzando, ma senza mai realmente dire la verità. Una verità scomoda, negata e proiettata poi addosso a me che quel giorno, nel suo grande disagio di quella sera, a contatto con la vibrazione della morte in una delle sue manifestazione più pesanti, emerse dalle profondità.

E forse per la prima volta assistetti allo strutturarsi stabile di un sentimento dell’essere in lui, non più oscillatorio, ma solido: l’angoscia primordiale.

L’angoscia primordiale che trasudava dalla struttura vibrazionale di quel sangue, e che era stato il vissuto di quell’animale negli ultimi minuti della sua esistenza, aveva creato in lui un disagio profondo, che non era più solo emozione costituendosi come qualcosa di cui non poteva liberarsi facilmente. Non era stato sufficiente neanche lavarsi per cancellare quella traccia di potere e alla fine l’unica soluzione che trovò fu  “negarne” la realtà che aveva rappresentato,  per porre argine a quella stabile angoscia che così lo pervase, e a cui non era affatto abituato.

Non volle ammettere fino alla fine ne mai più volle parlare di questo episodio, quanto in profondità le memorie che quell’odore e quello stare lì, fossero penetrate in lui. Tutto l’entusiasmo da giullare di poco prima la colata scomparve di colpo, rimanendo nella nudità del suo essere, senza appigli ne strumenti, avanti a qualcosa che lo terrificò, disgustandolo ancor prima di terrificarlo.

Il video fantastico che avevamo fatto non volle mai più riguardarlo, mi disse con tono irritato di tenerlo e farci quello che volevo, ma che a lui non interessava. Esso fu da me successivamente montato in una versione molto breve, poichè in ogni caso, e indipendentemente dal fatto che fare quel video fosse nata come sua idea entuasiasta, oramai esisteva e che si voglia vederlo come prodotto artistico o avente valore magico, l’unico senso che riuscivo a vedere nell’averlo fatto era condividerlo con la rete.

Nei giorni successivi a questo rituale vidi che alla Maison Rouge un nuovo abitatore vagava, la cui consistenza mi apparve molto simile ad un fumo nero piuttosto denso, sempre nei pressi di dove avevamo realizzato la colata, e mettendomi in connessione con esso rilevai tale formula archetipica di coscienza animale, emersa dalla struttura emanativa del sangue di animale usato, successivamente fluidificatosi e mossosi attraverso gli spazi astrali dopo il movimento del mio fuoco attenzionale durante la meditazione che feci nella parte finale.

Come se il coagulo energetico di memorie che quel sangue aveva impresso dentro di sè, avesse successivamente preso forma in quell’area della casa, che è anche quella che è governata dalla presenza dei Loa Ghedhe e dove si erge il loro Tempio, e volesse transitare lì. Questa presenza fu accolta nella casa per qualche settimana dopo tale rituale, per poi probabilmente rientrare nei suoi territori di appartenenza.

Salom era un ente che aveva una natura con cui non avevo mai avuto a che fare in precedenza, unendo in sè  qualità che avevo già riconosciuto negli spiriti elementali ma al contempo mantenendosi fortemente ancorato a quella dimensione della coscienza animale il cui afflato primordiale era stata una formula su cui avevo molto lavorato.

Era come se fosse l’emanazione emessa dalla coscienza collettiva di tutti gli animali morti in quel modo, che la vibrazione dell’angoscia primordiale aveva reso uniti nell’essere e Salom ne fosse come il rappresentante e il guardiano o in alternativa, incarnazione unificata dell’essere.

Utilizzai questo stesso sangue successivamente in altre occasioni, perché riconobbi nella sua struttura vibrazionale diverse importanti possibilità operative e rituali. Quel giorno, indipendentemente dal resto, feci una nuova scoperta in ambito magico operativo, e poco tempo dopo questa connessione con Salom aprì in me una nuova consapevolezza del mondo animale, cui ebbi accesso diretto attraverso quel rituale, e scelsi di non mangiare più carne.

Quella sera, tutti gli elementi problematici che avevano costellato i diversi momenti del progetto rituale fin dal primo incontro, andarono a convergere e si amplificarono come se in lui una catarsi profonda avesse riaperto le vere porte dell’inferno. Ciò che poi riconoscerò, perché mi verrà comunicato, ossia che ciò che lui vide lì, e pur senza essersi mai davvero concentrato in astrale, fu qualcosa di terrificante che lo risvegliò. Risvegliando un abissalità di orrore con cui non aveva mai fatto i conti davvero venni accusata di avere portato “sangue marcio” e di “essere marcia” fondamentalmente a caso, senza nessun autentico e profondo motivo. Non gli dissi mai cosa vidi e compresi quella sera di lui anche se dopo quell’episodio mi divenne lampante la sua inesperienza ed inadeguatezza magica. Gli comunicai nel periodo successsivo che tutta la tabella di marcia che avevamo stabilito non era più fattibile perché, furono queste le mie parole “non ci sono neanche le minime basi per procedere”.

Cosa che non comprese cosa significasse e a cui non volli aggiungere spiegazioni. La sua capacità di negare la realtà era talmente forte che qualcunque osservazione facessi anche basandomi sui fatti stessi, non otteneva il risultato di renderlo consapevole ma andava alimentando in lui e raffordando i meccanismi di negazione e proiezione, per poi riversandomisi addosso con una ferocia surreale e deliri di vario genere. E poichè in fondo non avevo mai altro interesse verso di lui che non fosse collaborare davvero e trovare soluzioni realistiche per la condivisione, consapevole che non sarebbe stato in grado di gestire il carico emotivo derivante dalle critiche realistiche che avrei fatto, ho preferito il silenzio.

Ancora dopo questo episodio, continuò comunque a proporre rituali complessi, lunghissimi, di enorme spessore energetico, e nonostante io avessi messo in chiaro che non avrei più collaborato con lui magicamente poichè non c’erano le basi. La mia proposta finale di limitarci a fare delle semplicissime meditazioni nella natura e altri esercizi di base fu accolta con sfavore, letta in modo orgogliosa, interpretata come un fallimento. Di tutti i fallimenti accorsi in precedenza, riuscì a vedere solo quest’ultimo e solo perchè più da vicino toccava la sua egoità, perchè fu vissuto come un out-out cui lui non si sarebbe mai sottomesso e perchè in fondo l’idea di non avere più la possibilità di usare un certo tipo di ritualistica per costruirsi un immagine di sè compensativa era un idea insopportabile. Non comprese mai la sapienza del mio gesto e vide solo ciò che andava togliendo a lu; non vide mai con quanta comprensione avessi proceduto, perchè per lui essere compreso significava lasciargli fare quello che voleva, e non ammise mai la sua inadeguatezza perchè non poteva immaginare un mondo dove lui non era quello che aveva sempre pensato di essere.

Sovrastima di sé in fase maniacale che andava deformando la percezione del reale in modi talmente gravi da ritenersi che spiegare qualcosa a una persona così fosse del tutto inutile. E ciò fu quanto feci.

Questo episodio viene riportato così ampiamente prima di tutto perché è stato uno dei pochi casi nella mia recente esistenza in cui ho voluto una collaborazione magica abbastanza prolungata e mi sono davvero impegnata perché potesse funzionare in qualche modo. Impegnata affatto superficialmente, saggiamente e consapevolmente.

Questa è da ritenersi la mia prospettiva dell’accaduto, di cui ho tracciato solo quegli elementi che per me avevano maggiore salienza, anche se nel mezzo sono accorse molte altre dinamiche. Forse il valore maggiore di questo incontro appartiene alla dimensione esistenziale non magica. Ma poichè ho scelto di assegnare maggiore importanza nella mia esistenza ai significati occulti del manifesto, non solo pur avendolo riconosciuto anche all’epoca, non ho alimentato i canali relazionali che potevano portare in quella direzione, ma appena mi sono resa conto della potenziale deriva sul piano umano che tale incontro poteva avere, ho ricreato le condizioni di quella distanza che è per me “elemento di distacco” necessario alla Visione.

Lo scelsi fin dall’inizio per questo progetto, come “icona” direbbe Bertiaux con cui operare per raggiungere alcuni piani realizzativi tramite una formula di magia sessuale della via della mano sinistra. Non lo elessi a nient’altro ne tanto meno volevo che si creasse confusione tra i livelli della relazione durante la realizzazione delle fasi di tale progetto. E quando gli proposi di continuare a vederci per fare delle meditazioni nella natura, e semplici esercizi, fu perchè avevo già da molto tempo ritratto ogni aspettativa magica nei suoi confronti, inserendolo dentro un contesto se vogliamo più” banale”, quello dei potenziali amici. Una proposta che potrei fare più o meno a chiunque, quella di ” andiamo a meditare nella natura” , poichè non richiede molte abilità se non la mera motivazione a volerlo fare. Proprio perchè gli unici potenziali valori che alla fine mi resi conto c’erano autenticamente stati nel nostro incontro, erano stati solo di tipo umano esistenziale, proposi questa mediazione, pur rimanendo fortemente ancorata alla mia prospettiva magico esoterica di lui. Crollato il sipario  e versato il sangue, rimase la nullificazione del potere di quella collaborazione. Potevamo duque ora, resettato tutto, ripartire da capo in un campo di minor valore ed importanza.

Lo avevo progressivamente abbassato di livello in quella che era la gerarchia di importanza dei valori cui nella mia esistenza terrena tengo ad investire davvero, fino a quello abbastanza basso dell’ amicizia umana. Amicizia che quindi non ha valore karmico, non transita visceralità d’intenti, non è una forma di fratellanza magica o spirituale,  e si configura come mero momento di transizione dentro una costellazione più ampia di valore di altra imponenza. L’ordinario livello dei rapporti umani, quello che muove l’umanità generale a forme di condivisione compulsiva di momenti senza potere, per cause di ordine materiale .

Forse lì, in un ambito non sacrale, poteva fare meno disastri e avremmo trovato una quadra. O forse no. Non lo sapremo mai.

 

Meglio non aprire il vaso di Pandora se non si è pronti a vedere cosa ne esce fuori.

 

Nera Luce